Geopolitica

A Gaza bimbo di due mesi muore di fame mentre la diplomazia attacca Israele

Le madri sulla striscia di Gaza non sanno più come sfamare i loro bambini, dal 7 ottobre la zona nord della Striscia è stata privata di cibo e acqua a causa dei bombardamenti e dell’invasione via terra, privando così la popolazione di qualsiasi genere di prima necessità. Sono oggi 200.000 le donne incinte e 20.000 i parti che in questi mesi sono avvenuti sotto le bombe ed in condizioni igieniche devastanti. L’organizzazione di Medici Senza Frontiere ha dichiarato ufficialmente giorni fa che Israele ha privato gli operatori sanitari di qualsiasi presidio ospedaliero, spesso le donne che hanno subito un cesareo sono obbligate ad abbandonare il plesso nell’arco di poche ore dall’intervento.

Proviamo ad immaginare cosa significhi per una donna partorire in uno stato psicofisico scioccante cercando un rifugio sicuro nonostante il dolore dovuto ad una operazione chirurgica, spesso subita senza l’utilizzo di alcun anestetico, con il suo fagottino tra le braccia nella speranza di non essere uccisi dai cecchini israeliani o dalle bombe che cadono a pioggia costantemente sulla testa dell’intera popolazione, soprattutto nelle zone in cui sono presenti i plessi ospedalieri.

L’Onu muovendosi attraverso la via diplomatica si scontra contro il continuo veto degli Stati Uniti nella ricerca di un urgente cessate il fuoco ed avverte la comunità internazionale attraverso i siti ufficiali tra cui l’OCHA, di un imminente esplosione di morti infantili a causa della malnutrizione.

Il 25 febbraio 2024 viene annunciata la morte di un altro infante di soli due mesi, il nome del piccolo è Mahmoud Fattouh a nord della striscia di Gaza. L’agenzia di stampa Shehab conferma la morte avvenuta all’interno dell’ospedale Al-Shifa in Gaza City.

I medici hanno dichiarato la diagnosi dicendo che il bimbo è morto a causa di una malnutrizione acuta:

“ Abbiamo visto una donna che trasportava il suo bambino, gridando aiuto. Il bambino pallido sembrava stesse esalando l’ultimo respiro”

Sulla striscia di Gaza il latte neonatale è assente da mesi a causa del blocco israeliano dell’accesso di aiuti umanitari, numerosi video hanno comprovato il boicottaggio anche da parte delle truppe sioniste nei confronti dei convogli carichi di cibo e carburante, saccheggiandoli o assaltandoli mettendo così a rischio anche la vita degli operatori umanitari. Le madri sono solite mettere ai neonati in bocca dei datteri per dare loro la possibilità di poter succhiare un minimo di zucchero, ricordiamo anche l’assenza dell’acqua nell’enclave, alimento di vitale importanza per qualsiasi essere umano, senza di essa per le donne palestinesi è impossibile evitare la morte soprattutto dei bimbi appena nati, sopravvissuti al genocidio per mano dei militari dell’IDF.

La diplomazia internazionale in questi giorni attraverso dei comunicati ufficiali contro il genocidio israeliano grazie anche al sostegno del governo irlandese, sudafricano ed altri sta sicuramente cercando di mettere i bastoni tra le ruote a Benjamin Netanyahu ed ai suoi collaboratori, ma il boicottaggio dei coloni di estrema destra appartenenti alle fazioni di Itamar Ben Gvir continua a bloccare i convogli umanitari al valico di Karem Abu Salem al confine tra la Striscia di Gaza ed Israele.

Possiamo quindi concludere che la diplomazia si sta sicuramente impegnando attraverso i tribunali e la chiusura di alcuni rapporti diplomatico economici con Israele, ma questo non basta, serve ferire velocemente il fianco di questo stato ed impedirgli di continuare ad uccidere i bambini palestinesi, dove ricordiamo sulla Striscia di Gaza rappresentano il 45% della popolazione ed i morti infantili ad oggi rappresentano il 47% dei decessi, di tutti i bambini il 50% ha meno di nove anni ed ogni 15 minuti un minore muore per cause differenti.

Ad oggi sono circa 30.000 le persone morte sulla Striscia di Gaza, 69.737 i feriti


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Antonietta Chiodo

Antonietta Chiodo Attualmente ha concluso la sua collaborazione con News Academy Italia. Antonietta Chiodo si occupa di diritti umani da sempre, nasce a Roma ma si diploma alla scuola del cinema di Milano, nel 2006 il progetto grafico da lei realizzato per denunciare la violazione dei diritti umani in Africa, creato in collaborazione con il Gruppo Abele e la Cooperazione Internazionale viene applaudito a Bruxelles. Nel 2012 passa un breve periodo nelle favelas brasiliane per documentare la vita dei bambini di Salvador de Bahia. Impegnata costantemente accanto al popolo palestinese passa un periodo della sua vita nei territori occupati nella Cisgiordania, documentando la difficoltosa vita della popolazione di Jenin, ricevendo così il premio da Amnesty International “ Giornalismo per i Diritti Umani”. Nel 2016 si impegna sulle coste calabresi per denunciare la sparizione dei minori non accompagnati. Nel 2017 conduce un importante progetto con un gruppo di minori ed insegnanti di un villaggio alle porte di Hebron. Oggi ancora lavora come fotoreporter e reporter per denunciare la costante violazione dei diritti umani, è curatrice della mostra fotografica itinerante Hurry Up in favore della liberazione di Julian Assange.

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