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NON VEDO BAMBINI NEL FUTURO

NON VEDO BAMBINI NEL FUTURO News Academy Italia

NOI ADULTI IPOCRITI IN UN MONDO DI DECEREBRATI

“Non vedo bambini nel futuro” scriveva il sensitivo, conferenziere e prolifico autore Stuart Wilde nel suo libro “Gaia e la fine dei giorni”.

Erano gli anni ’90, una coscienza spirituale si radicava insieme all’evidenze quantistiche, la malattia assumeva le sue caratteristiche spirituali, la comprensione energetica della convivenza umana si faceva strada con il best seller “La Profezia di Celestino”. Ma poi il veleno di un ragno che tesseva la sua rete globale, avrebbe cancellato ogni forma di quella consapevolezza.

Oggi stiamo vivendo ciò che Stuart Wilde aveva previsto e l’ipocrisia e l’abitudine alla “connessione globale” c’impedisce di salvare il salvabile. Il web ha vinto ma ha reso decerebrate quasi due generazioni ed il futuro vede figli artificiali, quelli umani sono già morti cerebralmente, mentre molti moriranno fisicamente grazie al suicidio, che fa da padrone nella vita degli adolescenti.

La mancanza di valori spirituali ha i suoi drammatici effetti, la tecnologia ci ha sradicato dai nostri istinti e dalla poesia verso la vita.

Si può forse salvare qualcosa o qualcuno solo diventando esempio di coscienza e attenzione a ciò che crea amore per l’essere vivi, ma se non conosciamo quali sono quelle basi naturali e biologiche su cui si fonda lo sviluppo cognitivo, siamo noi la causa di un futuro senza più bambini.

Così si legge sul Documento della 7a Commissione permanente del Senato, a conclusione dell’indagine conoscitiva sull’impatto del digitale agli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento (vedi allegato).

“A preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica.
L’uso del digitale da parte dei minori non ha niente di diverso dalla cocaina. Stesse implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche.
E’ quanto sostengono, ciascuno dal proprio punto di vista « scientifico », la maggior parte dei neurologi, degli psichiatri, degli psicologi, dei pedagogisti, dei grafologi, degli esponenti delle Forze dell’ordine auditi. Un quadro oggettivamente allarmante, anche perché evidentemente destinato a peggiorare.
Tutte le ricerche internazionali citate giungono alla medesima conclusione: il cervello agisce come un muscolo, si sviluppa in base all’uso che se ne fa e l’uso di dispositivi digitali (social e videogiochi), così come la scrittura su tastiera elettronica invece della scrittura a mano, non sollecita il cervello. Il muscolo, dunque, si atrofizza. Detto in termini tecnici, si riduce la neuroplasticità, ovvero lo sviluppo di aree cerebrali responsabili di singole funzioni. Per quest’insieme di ragioni, non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani.
Non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri. Fingere di non conoscere i danni che l’abuso di tecnologia digitale sta producendo sugli studenti e in generale sui più giovani sarebbe ipocrita.”


Già a Dicembre 2022 il Ministro Valditara aveva diramato una circolare dove allegava il drammatico resoconto della commissione, all’interno delle indicazioni sull’uso del cellulare a scuola e a suo modo avvisava il comparto dell’istruzione sul dramma in corso.
Ma la “Buona Scuola” della L.107/2015, ha il suo fondamento sul “Piano Nazionale Scuola Digitale” ed il PNRR ha elargito milioni di euro ai Dirigenti d’azienda che gestiscono l’utenza minorile attraverso l’uso di strumenti tecnologici inseriti nei programmi educativi.

Oggi la scuola è diventata un comparto pubblico malato psichiatricamente, ha un tic, e si prodiga, ignara dell’evidenze scientifiche consultabili ovunque, a sponsorizzare le sue Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) in ambito didattico. L’utilizzo strategico di strumenti digitali e risorse informatiche, viene pubblicizzato come metodo per migliorare i processi d’insegnamento e apprendimento, definendolo “obiettivo realizzabile e cruciale” per il contesto educativo odierno.

La pandemia ha accelerato questa trasformazione con la didattica a distanza e Computer, Tablet, Smartphone, lavagne LIM, Software educativi e Piattaforme online, si sono sostituiti alle lezioni frontali di quelle materie base, che permettevano la capacità di saper leggere e scrivere, far di conto. A discapito dello sviluppo delle competenze cognitive, caratteristiche dell’intelligenza umana racchiuse nell’abilità di fare pensieri astratti e sviluppare un pensiero critico, la didattica si è centrata sulle competenze digitali.

Così siamo arrivati ad adolescenti che non sanno tenere una penna in mano a 15 anni, non sanno scrivere in corsivo, sono incapaci a comprendere poche righe di un testo per farne un riassunto con parole loro e i dati INVALSI ci offrono il panorama di un 50% degli alunni senza abilità d’apprendimento sufficienti. Un dialogo povero, basato solo su esperienze personali ristrette e incapace di astrazioni e progettualità, sono il risultato del restante altro 50%.
Il mito dell’inclusione nella scuola dei test invalsi è diventato solo il metodo di una “valutazione standardizzata e di schedatura algoritmica di massa”, che per altro offre un quadro drammatico delle giovani generazioni.

Anche il sito Agenda Digitale, nel suo approfondimento di Settembre 2023 su “Smartphone a scuola: norme, divieti, iniziative in Italia e nel mondo”, avvisa dell’evidenze risultate da ricerche e report scientifici sull’uso di tecnologie digitali nei processi d’apprendimento.
Si riscontrano danni fisici e psicologici con progressiva perdita di facoltà mentali essenziali (…) la promozione di un uso critico dei media digitali, è una strategia che ha senso solo a partire dall’adolescenza, la cui efficacia non è stata peraltro ancora dimostrata con dati empirici (…) più di 2 ore al giorno trascorse davanti allo schermo sono associate a sintomi più depressivi, risultati scolastici inferiori, perdita di sonno e forma fisica, meno curiosità, autocontrollo e stabilità emotiva, maggiore ansia”. Concludendo con “anche se la tecnologia ha grandi potenzialità per migliorare i processi di insegnamento e apprendimento esistenti, le prove di successo sono limitate”.

Nel 2022 il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea ha redatto il “Rapporto dei Diritti del bambino nell’ambiente digitale”, oltre 90 pagine la cui sintesi si esprime con queste parole: “La sfida fondamentale è l’impatto dei sistemi di Intelligenza Artificiale sulla cognizione e lo sviluppo socio emotivo dei bambini: cosa fa l’I.A. al cervello dei bambini? Non è ancora chiaro come videogiochi/ assistenti personali/ smartphone/ tablet/ giochi su internet trasformano il modo in cui si sviluppa e si comporta un bambino”.

I professionisti dell’educazione come si pongono davanti a queste realtà? Insegnanti che si rifiutano di partecipare a progetti educativi digitali, facendo affidamento a quella deontologia che si basa sulla “libertà d’insegnamento” prevista dall’ Art.33 della Costituzione, sono pochi, eppure basterebbe ad ogni Collegio Docenti far verbalizzare la propria “opzione di minoranza” (il modello è in allegato all’articolo). Si continua invece ad approvare e ad aggiornare i “Programmi Triennali di Offerta Formativa”, pilastro della Scuola Digitale, eliminando progressivamente le ore e l’interesse nelle materie curricolari e senza far notare che questa nuova forma di didattica è squisitamente facoltativa per l’utenza. Ma forse l’essere stati gli artefici di una discriminazione razziale basata su una vaccinazione preventiva e sperimentale per accedere alla cultura, ha reso il comparto docente più decerebrato dei giovani stessi drogati di smartphone. Non si può comunque tornare indietro.

Il problema dunque è di enormi proporzioni e coinvolge il mondo intero. In Giappone oltre un milione di ragazzi sono zombie rinchiusi in realtà virtuali digitali, incapaci di affrontare la realtà materiale; in Cina esistono oltre 400 strutture di “detenzione minorile” basate su discipline militari e uso di elettroshock per far “guarire” dalla dipendenza da smartphone, in Italia se ne parla con rapporti di pediatri, neuropsichiatri e psicologhi, ma nessuno fa niente.
D’altronde siamo diventati una società in cui i bambini crescono vedendo noi adulti assuefatti all’uso delle tecnologie, i dati sui minori affidati alle cure di Alexa, dei programmi on demand, dei giocattoli connessi alla rete da cui vengono rubati dati immessi poi su icloud nella totale ignoranza dei genitori, non lasciano dubbi. Stiamo sedando neonati bambini e adolescenti con l’uso di tablet e smartphone, che gratificando immediatamente i neurotrasmettitori cerebrali, impediscono definitivamente ogni più piccolo sviluppo di strategie per far fronte a situazioni non altrettanto dopaminiche. Stiamo drogando intere giovani generazioni con immediate e superficiali sensazioni esclusivamente piacevoli, incapaci ad esprimere la nostra autorevolezza genitoriale il “no” non è più previsto, scansiamo la responsabilità dell’essere adulti per paura delle reazioni di un cervello in crescita.

Se i genitori per primi non inizieranno a limitare l’uso della tecnologia in famiglia, assisteremo al progressivo aumento di disfunzioni relazionali, autismo, aggressività, danni funzionali e fisici, partecipando in prima persona al realizzarsi della profezia del sensitivo Stuart Wilde, già da tempo davanti ai nostri occhi: “non vedo bambini nel futuro”.

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