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Scandalo al New York Times: Sotto Inchiesta per Menzogne sul 7 Ottobre

Il New York Times in queste ore dichiara di avere aperto una inchiesta sulla presunta giornalista israeliana inserita recentemente nel team dell’agenzia di stampa, dopo che alcuni attivisti avevano fatto notare alla testata che la signora Anat Schwartz aveva sostenuto numerosi tweet del governo israeliano che incitavano al genocidio del popolo palestinese. Non basta oggi aprire una inchiesta su questa donna, anzi è bene che il consiglio di amministrazione chiarisca a tutti i suoi lettori come sia possibile che una videomaker di KAN canale statale israeliano, sia improvvisamente diventata una giornalista d’inchiesta ed abbia pubblicato articoli sulle violenze sessuali presumibilmente perpetrate il 7 ottobre.

Dobbiamo quindi domandarci se questo passo indietro del giornale sia dovuto alla paura di poter comparire un giorno nel fascicolo del Sud Africa accusati per incitamento al genocidio, vista l’ordinanza della Corte Internazionale pubblicata sulla gazzetta ufficiale il 26 gennaio 2024, definendo tutti attori coinvolti nell’atto genocidario anche coloro che inciteranno alla violenza e non solo i fornitori ufficiali di armi ad Israele.

La signora Anat Schwartz è stata inserita da pochi mesi nell’equipe redazionale statunitense con sede nella città di New York, dopo avere condotto le indagini come giornalista sui presunti stupri accaduti il 7 ottobre. La signora in questione pare abbia mentito, i dubbi ai vertici della redazione statunitense sembra siano arrivati dopo avere saputo che la freelance abbia cliccato like ad alcuni tweet, tra cui uno in particolare che citava appunto:

“Gaza deve diventare un mattatoio”.

La pseudo giornalista dopo le numerose segnalazioni che la chiamavano in causa ha scelto infatti di chiudere il suo account X nella speranza sparissero i like spammati a pioggia nei mesi precedenti.

Il sostegno della signora Schwarts nell’usare tutta la violenza possibile per ammazzare la popolazione civile di Gaza ha fatto inesorabilmente il giro del mondo, ricordiamo che il 45% della popolazione della Striscia è composta da bambini e che dei 30,000 morti circa il 50% sono minori al di sotto dei 17 anni.

Il New York Times si è trovato quindi obbligato a dichiarare ufficialmente :

“Siamo consapevoli che un giornalista freelance israeliano che ha lavorato con il Times ha messo mi piace a diversi post sui social media, Quei ‘mi piace’ sono violazioni inaccettabili della nostra politica aziendale. Stiamo attualmente esaminando la questione”.

All’interno dello staff del New York Times furono numerose le critiche in merito la pubblicazione dell’articolo sulle violenze sessuali a danno delle donne israeliane, consapevoli come ancora oggi non vi siano prove dell’accaduto, anzi è importante sapere che i medici forensi israeliani dichiararono di non poter confermare la su detta notizia a causa dell’impossibilità di effettuare prove scientifiche attendibili. Non vi sono quindi ancora oggi analisi evidenti, fu invece il governo israeliano a dichiarare con certezza gli stupri nonostante i corpi fossero oramai in via di decomposizione.

Ciò che stava accadendo all’interno del New York Times in realtà fu segnalato da due importanti giornalisti investigativi nel mese di gennaio Daniel Boguslaw e Ryan Grim, quando proprio la redazione di The Intercept si trovò implicata in mail alquanto dubbie ricevute per screditare il lavoro di Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella coinvolti nell’inchiesta.

Furono proprio le critiche all’interno della redazione del Times in merito alla puntata dedicata alle violenze del 7 ottobre a smuovere i primi dubbi facendo notare le numerose discrepanze nei racconti di alcuni sopravvissuti, venne infatti confermato da alcuni giornalisti interni ed esterni alla redazione che mancavano pezzi e prove nella narrazione prodotta dal premio pulitzer Jeffrey Gettleman.

Pochi giorni dopo venne infatti concesso un follow up ben organizzato per dare la possibilità al signor Gettleman di rispondere alle domande dei lettori che evidentemente non si convinsero del suo lavoro.

Il Times fu infatti obbligato a dichiarare che tempo dopo una delegazione delle Nazioni Unite non potè visionare le prove in merito agli stupri perché il governo israeliano dichiarò tutti i diplomatici presenti pregiudizievoli. Possiamo quindi sostenere che ad oggi non vi siano né prove né testimoni in grado di confermare che il sette ottobre i gruppi di resistenza abbiano violentato le donne israeliane, come fu smentita anche la notizia dello sgozzamento dei bambini all’interno del Kibbutz.


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Antonietta Chiodo

Antonietta Chiodo Attualmente ha concluso la sua collaborazione con News Academy Italia. Antonietta Chiodo si occupa di diritti umani da sempre, nasce a Roma ma si diploma alla scuola del cinema di Milano, nel 2006 il progetto grafico da lei realizzato per denunciare la violazione dei diritti umani in Africa, creato in collaborazione con il Gruppo Abele e la Cooperazione Internazionale viene applaudito a Bruxelles. Nel 2012 passa un breve periodo nelle favelas brasiliane per documentare la vita dei bambini di Salvador de Bahia. Impegnata costantemente accanto al popolo palestinese passa un periodo della sua vita nei territori occupati nella Cisgiordania, documentando la difficoltosa vita della popolazione di Jenin, ricevendo così il premio da Amnesty International “ Giornalismo per i Diritti Umani”. Nel 2016 si impegna sulle coste calabresi per denunciare la sparizione dei minori non accompagnati. Nel 2017 conduce un importante progetto con un gruppo di minori ed insegnanti di un villaggio alle porte di Hebron. Oggi ancora lavora come fotoreporter e reporter per denunciare la costante violazione dei diritti umani, è curatrice della mostra fotografica itinerante Hurry Up in favore della liberazione di Julian Assange.

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