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INTERVISTA ESCLUSIVA, Sopravvissuto al Rapimento nel Nasser Hospital a Gaza Racconta la Tragedia

Sono solita essere tecnica ed attenta ai numeri ed ai dettagli nei miei articoli, questa volta invece si tratta di qualcosa di diverso, sarà un’ intervista esclusiva di News Academy International rivolta a chi ha ancora il coraggio di resistere nonostante senta ogni giorno il proprio corpo e la propria anima privati della dignità e diritti fondamentali. Quest’ uomo che chiameremo B. ha dimostrato nonostante la paura e la stanchezza nella notte in cui è avvenuto il nostro colloquio tanta gentilezza e gratitudine, benché io fossi nel mio studio al caldo, lui mi era grato solo perché in quel momento a migliaia di chilometri di distanza vi era qualcuno pronto ad ascoltare il suo dolore.

Israele ha fatto incursione nei giorni scorsi all’interno dell’ospedale Nasser sito nel sud della striscia, utilizzando tutta la violenza a lui concessa e deportando numerose persone tra cui medici e giornalisti, uno dei tre uomini identificato dall’ IDF come uno degli esecutori nell’attacco del sette ottobre è in realtà un giornalista di Jerusalem Radio ed il suo nome è Omar Khaled Abu Reida, siamo quindi di fronte all’ennesima e sanguinosa farsa di Netanyahu e del suo fallimentare governo.

Nella Foto: Il giornalista di Jerusalem Radio Omar Khaled Abu Reida accusato di essere uno degli esecutori dell’attacco del 7 ottobre

Noi di News Academy sappiamo grazie al nostro continuo lavoro di denuncia ed inchiesta che queste persone verranno torturate incessantemente e alcuni di loro moriranno nell’anonimato, chiediamo che la comunità internazionale prenda una posizione netta nei confronti dell’illegalità di queste vergognose azioni.

Il Nasser Hospital sito nella zona sud in Khan Younis è stato attaccato ininterrottamente via cielo e via terra per almeno una settimana, il 18 febbraio diversi convogli umanitari carichi di carburante si sono visti bloccare a 50 metri dall’ospedale dai bulldozer intenti a devastare le strade tutto intorno per evitarne l’accesso.



Quest’ uomo residente a sud della Striscia di Gaza si è trovato coinvolto dopo essersi rifugiato all’interno del plesso, da giorni oramai si trova solo e senza la sua famiglia, le truppe via terra lo hanno costretto a distaccarsi dai parenti più intimi perché dopo essersi allontanato per cercare qualsiasi forma di cibo la violenza dei militari e dei tiratori scelti non gli hanno permesso di raggiungere quel che resta della sua abitazione.

Te la senti di raccontarmi cosa hai vissuto cinque giorni fa al Nasser Hospital sulla Striscia di Gaza?
Per me è difficile ma voglio provare, ho assistito all’arresto di quei tre uomini che dicono fecero parte all’attacco del 7 ottobre. Poco prima che li arrestassero parlai con uno di loro, gli dissi che non era più sicuro restare lì mentre riprendeva con il telefonino ciò che stava accadendo, io invece scappai e mi salvai. Non so nemmeno io come ho fatto, mi sparavano addosso ed erano ovunque.

Chi erano questi tre uomini?
Non ricordo i loro nomi, ma non facevano niente di male, chi non era ferito in realtà era rimasto intrappolato nell’ospedale, tutti i lati erano circondati da giorni da cecchini e bombe via cielo.

Gli altri cercarono di restare fino all’ultimo respiro, poi i militari sono entrati con la forza e hanno arrestato almeno cento persone, tra questi vi erano anche molti medici non so se vi fossero anche pazienti ma presumo di si. Li hanno portati fuori e massacrati di botte prima di legarli e rapirli, non sappiamo dove li abbiano trasferiti ma crediamo ora siano nel deserto del Negev.

Che armi avevano i militari quando hanno fatto irruzione?
Avevano fucili automatici e mitragliatrici, questo è quello che ho visto.

Come sei arrivato al Nasser Hospital?
Prima che l’ IDF raggiungesse il plesso circondarono la città in tutte le direzioni e a nessuno era permesso di fuggire, poi all’improvviso miracolosamente si sono ritirati da un lato. Dopo un giorno ritornarono gradualmente e ci assediarono su larga scala. Ci hanno bombardati, hanno circondato poi le scuole obbligandoci ad abbandonarle a piedi, rischiando di essere uccisi dai cecchini attraverso una zona chiamata Hallabat. Hanno saccheggiato tutto quel poco che ci era rimasto.

Quindi molti sfollati cercarono rifugio nell’ospedale?
Si, poi iniziarono a bombardare anche li, si avvicinarono al cancello, distrussero le mura ed invasero il cortile, avevamo paura, tanta paura mentre bruciarono tutte le tende degli sfollati. Anche nelle case intorno all’ospedale Nasser c’erano i soldati, ho visto persone portate nelle piazze ed uccise senza motivo.

Cosa stai mangiando in questi giorni?
Ogni giorno mangio poco e niente, soprattutto a causa di chi si approfitta dei più poveri anche in questo momento e specula al mercato nero con cibo e acqua rivendendoli a prezzi per noi impossibili. Non tutti abbiamo i soldi per comperare un po’ di farina, oramai i prezzi sono alle stelle, o possiedi soldi o muori di fame, quel poco che ancora gira è costosissimo. Avevo allestito una piccola tenda nel cortile dell’ospedale ma i militari l’hanno distrutta. Non ho più niente.

Oggi con cosa ti sei nutrito?
Qualsiasi cosa aiuta a soddisfare la tua fame, qualsiasi cosa…

La testimonianza di quest’ uomo termina con le sue parole nella speranza per noi di poterlo presto risentire ed un giorno abbracciare:
“Questa vita non vale più la pena di essere vissuta, non ho mai immaginato che esistesse un inferno come questo, ti prego porta le mie parole, se morirò avrò lasciato qualcosa, qualcosa di me alla mia bambina che magari un giorno le leggerà.”

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Antonietta Chiodo

Antonietta Chiodo Attualmente ha concluso la sua collaborazione con News Academy Italia. Antonietta Chiodo si occupa di diritti umani da sempre, nasce a Roma ma si diploma alla scuola del cinema di Milano, nel 2006 il progetto grafico da lei realizzato per denunciare la violazione dei diritti umani in Africa, creato in collaborazione con il Gruppo Abele e la Cooperazione Internazionale viene applaudito a Bruxelles. Nel 2012 passa un breve periodo nelle favelas brasiliane per documentare la vita dei bambini di Salvador de Bahia. Impegnata costantemente accanto al popolo palestinese passa un periodo della sua vita nei territori occupati nella Cisgiordania, documentando la difficoltosa vita della popolazione di Jenin, ricevendo così il premio da Amnesty International “ Giornalismo per i Diritti Umani”. Nel 2016 si impegna sulle coste calabresi per denunciare la sparizione dei minori non accompagnati. Nel 2017 conduce un importante progetto con un gruppo di minori ed insegnanti di un villaggio alle porte di Hebron. Oggi ancora lavora come fotoreporter e reporter per denunciare la costante violazione dei diritti umani, è curatrice della mostra fotografica itinerante Hurry Up in favore della liberazione di Julian Assange.

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